Scalfari: se questo è un vate (e mi risparmio la “r” finale…)
Chi vuole essere sicuro di non andare contro il belare del gregge, contro ciò che si usa chiamare col termine orrendo di “politicamente corretto”, in genere acquista Repubblica. Il lettore medio di Repubblica guarda con occhio leggermente sprezzante, ma al tempo stesso comprensivo, il povero pirla (come ad esempio il sottoscritto) che acquista “Il Giornale”. Capisce che ha a che fare con un minorato mentale e con uno sprovveduto che non ha compreso come incomba la minaccia alle istituzioni. E quindi sovente si offre come volontario per spiegargli come sono fatti il mondo e l’universo in genere. Se il povero pirla (il sottoscritto) gli chiede “ma tu hai mai letto il Giornale”?, risponde con un “no” sdegnato. Certa robaccia non si legge, si sa che serve solo a reggere il sacco a Berlusconi, e quindi a portare l’Italia nel baratro della dittatura.
Invece il povero pirla, insomma io, ha il vizio di leggere di tutto. Compro il Giornale, ma poi leggo regolarmente anche Repubblica, visto che ormai ogni quotidiano ha il suo bravo sito Internet. E Repubblica va letto per primo, perché è quello che dà, diciamo così, l’imboccata alle altre testate, che poi diligentemente lo seguono. Non mi perdo mai il sermone domenicale di mons. Eugenio Scalfari, fondatore, uomo pensoso, intellettuale di rango. Sono masochista? Non credo. Credo solo che se realmente ci si vuole interessare di politica, bisogna leggere un po’ di tutto.
E così, a differenza del lettore molto democratico e politicamente corretto, io leggo anche la stampa “avversaria”, mentre il lettore molto democratico eccetera eccetera disdegna l’altrui stampa, perché sa già tutto a priori. Che mago!
E leggendo Scalfari regolarmente non si può non avere pena per un declino, inevitabile (senectus ipsa morbus) di un uomo che è stato anche un grande giornalista, che a suo tempo è stato un innovatore del modo di “fare” un giornale, ma che a un certo punto della sua vita è entrato nella convinzione di essere il portatore del Verbo, anzi, probabilmente, di esserlo lui stesso. E infatti non usavo a caso la parola “sermone”. Scalfari non scrive editoriali. Scalfari scrive sermoni, nei quali indica all’umanità la strada da seguire, e lo fa con quel tono benevolo ma al tempo stesso leggermente infastidito che può avere un maestro che si rende conto che la sua scolaresca è composta, per lo più, da deficienti.
Il sermone di oggi, domenica 19 luglio 2009, mi ha rinnovato il senso di pena per l’uomo. Infatti è raro leggere una tale accozzaglia di banalità, condita anche da un tantino di piaggeria, stile Leo Valiani. E mi spiego. Chi come me non è più un giovanotto ricorderà che anni annorum fa sulle pagine del “Corriere” Leo Valiani (uomo che nella sua vita aveva fatto la resistenza; francamente non ho mai capito se abbia fatto anche altro) scriveva quasi quotidianamente articoli in cui, a prescindere dall’argomento specifico, trovava sempre il modo di darsi a sperticate lodi del Sandro Pertini, che ai tempi era occupato a danneggiare il Paese con la qualifica di Presidente della Repubblica. Ricordo che la cosa aveva quasi dell’umoristico. Mi aspettavo che prima o poi Leo Valiani ci riferisse di un pranzo di nozze nel corso del quale Sandro Pertini aveva tramutato l’acqua in vino… non arrivammo a tanto, ma poco ci mancò. Dopo circa un annetto di questi articoli da manicomio arrivò, guarda caso, la nomina del Valiani a senatore a vita. Ovviamente, solo un maligno potrebbe pensare che ci fosse un nesso tra la nomina a senatore a vita e gli articoli di divinizzazione.
Orbene, l’ex vate Scalfari inizia il sermone con una lode al presidente della Repubblica che lascia francamente alquanto perplessi. I fatti sono noti. Il Parlamento ha approvato la legge governativa sulla sicurezza, e il sig. Napolitano (promulgandola, come era suo preciso dovere) ha voluto però redigere una lettera alquanto confusa, in cui vuole mettere in luce “incoerenze” della nuova legge coll’ordinamento penale vigente. La lettera è indirizzata al Presidente del Consiglio, ai Ministri proponenti (e fin qui può avere un senso), ai presidenti delle Camere (e già questo è alquanto strambo) e infine al Presidente della Corte Costituzionale. E questo è strambissimo, perché i casi sono due: o la legge è, secondo il Napolitano, palesemente incostituzionale (e allora ha il dovere di non promulgarla) o non lo è, e in questo caso ha il dovere di promulgarla. Ma il Presidente della Corte Costituzionale che c’entra in tutto ciò? Di certo il sig. Napolitano non ignora che la Corte Costituzionale può giudicare solo se attivata da istanze esterne, e non di propria iniziativa. La cosa più probabile è che il comunista Napolitano si sia trovato in un bel casino: non poteva non promulgare la legge, ma doveva dimostrare ai suoi superiori (dopo una vita da comunista non si cambia la testa solo perché si riceve la nomina a Presidente della Repubblica) che lui è comunque schierato contro questo governo. “Vedete, cari compagni, non posso fare altro, però, insomma, ecco, ho fatto quello che ho potuto, un po’ di critiche le ho fatte, così facciamo colpo sull’opinione pubblica…”
Insomma, il sig. Napolitano ha fatto un pateracchio del quale, non foss’altro per rispetto alla sua veneranda età, che ormai lo pone fuori dalle critiche perché troppo vicino al Giudizio finale, sarebbe stato meglio non parlare. Ma per chi è abituato al servilismo (e nessuno lo è come questi fustigatori politicamente corretti) il pateracchio diventa invece “diuturna fatica di raddrizzare il timone d'una barca assai mal diretta dai nocchieri che dovrebbero assicurarne un'ordinata navigazione.” E quindi il vate richiama alla inevitabile “solidarietà da esprimere al Capo dello Stato”.
Ossia: l’odiato Governo Berlusconi sta portando disastro e confusione. Meno male che, con “diuturna” fatica, il Napolitano vigila. Perbacco. C’è il vigile, siamo a posto.
Fatto il doveroso atto di piaggeria, il vate riesce a mettere insieme banalità e umorismo, il che non è da tutti. Banalità, laddove scopre che “I valori del partito riformista sono largamente condivisi al suo interno. Sono i valori di libertà, eguaglianza, solidarietà con i deboli, non violenza, difesa dell'ambiente”. Il partito “riformista”, per la cronaca, sarebbe il coso, il PD. E questi valori, secondo il vate, distinguono fortemente la sinistra dalla destra, i cui valori , evidentemente, sono la schiavitù, la disuguaglianza, lo schiaffeggiamento dei deboli, la violenza e la distruzione dell’ambiente. Come mai la gran maggioranza degli italiani abbia dato il suo voto a simili mostri, resta un mistero. Forse perché prima non aveva chiesto consiglio a Scalfari.
Comunque sia, dopo aver fatto queste affermazioni (che devono essere costate lunghe notti di insonne meditazione) il vate si dà al più puro umorismo, affermando che non è assolutamente vero che il coso, il PD, sia ormai un casino in cui ci si scanna senza avere una proposta politica concreta e senza più capir nulla dei veri problemi del Paese. Ciò è falso, sentenzia il vate che ha, bontà sua, l’onestà di ammettere che anche ampi settori della sinistra hanno l’impressione che il coso, il PD, sia ormai alla canna del gas. Non è vero,sentenzia il vate, perché i valori (cioè le quattro ovvie banalità di cui sopra) sono nel coso, nel PD, “ampiamente condivise”. Se poi i pareri su come realizzare questi “valori condivisi” sono un tantino divergenti, sicché si assiste allo sport dei pesci in faccia (per limitarci ai pesci) tra i vari SuDario, D’Alema, Bersani, Marino e ora anche il guitto Grillo, che c’entra? Questa è dialettica democratica.
E poi il vate ci comunica anche di essere molto lieto per il fatto che in questo dibattito interno al coso, al PD ,sia emerso con decisione il tema del laicismo, incarnato da quel Marino, tuttora indagato per omicidio volontario, nella persona di Eluana Englaro.
Laico, antifascista, attento all’ambiente. Se anni e anni di profonde meditazioni hanno portato il vate Scalfari a formulare queste ipotesi così originali, mai sentite, e soprattutto proclamate dall’alto della sua Turris Aeburnea, credo davvero che si potrebbe consigliargli di avere il buon gusto, per la sua stessa dignità, di ritirarsi a vita privata. Ora che il giornale da lui fondato e che dalla di lui profonda intelligenza trae linfa vitale, si è sputtanato per un paio di mesi cercando invano di far dimettere il Presidente del Consiglio usando argomenti laidi e pettegolezzi mai dimostrati, ma degni delle più squallide portinerie, ora che è accaduto tutto ciò, al vate resta da proclamare l’eguaglianza, la libertà, la non violenza, la difesa dell’ambiente. Pover’uomo, sinceramente è triste assistere a un tale declino.
E se consideriamo che Repubblica è per i sinistrati del coso, del PD, come il manuale delle giovani marmotte per Qui, Quo e Qua, ossia la fonte stessa della saggezza, allora capiamo meglio perché lo stesso coso, lo stesso PD stia annaspando e più che un segretario debba nominare un liquidatore. Semplicemente perché non esiste come partito politico, ossia come portatore di idee, come propositore di un modello di società. Potremmo gioirne, come uomini di destra. Come Italiani invece ci spiace un pochino, perché una vera opposizione, intelligente, aiuta e stimola il Governo a migliorare, a rivedere gli errori, a far funzionare meglio il Paese. Un’opposizione di questo tipo invece suscita solo pena, fa anche passare la voglia di discutere.
Pace all’anima (se la possiede) sua
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