venerdì 14 novembre 2008

LETTERA AL PADRE DI ELUANA ENGLARO

Egregio Signor Englaro,
oggi la Cassazione ha dato il definitivo OK; ora Lei può uccidere Sua figlia. Mi perdoni se uso la parola “uccidere”. Sono abituato a usare un italiano corretto, e quindi chiamo le cose con il loro nome. Privare del nutrimento una persona che non è in grado di provvedervi autonomamente, significa, molto semplicemente, ucciderla.

Lei aveva promesso, pochi giorni fa, di non rilasciare più dichiarazioni. Invece oggi ha parlato di nuovo. Ha detto che finalmente siamo in uno “stato di diritto”. Lei, insomma, ha vinto la sua battaglia.

Ma Lei, signor Englaro, non è un vincitore. Lei è uno sconfitto. Lei si è arreso di fronte al dolore. Ha detto che ora “finirà l'inferno”. L'inferno per chi? Per sua figlia in quello stato? E che ne sa se fosse un inferno o se, nella nuova, tristissima e difficilissima, condizione di vita non trovasse un conforto dalle cure amorevoli delle suore che da anni l'accudiscono?
Oppure è l'inferno per Lei, signor Englaro? E allora? Per sfuggire al nostro inferno, non troviamo nulla di meglio che uccidere una figlia?

Io ho due figli. Sono le persone che più amo al mondo. Per loro darei la vita. Ma se un mio atto, anche involontario, potesse causare la loro morte, allora spererei di morire prima io.

Lei è uno sconfitto perché non ha saputo piegarsi alla logica dell'Amore, quello vero, che alle volte ci chiede immani sacrifici. Ma è solo dall'Amore che deriva la vita. Ci sono tante persone che accudiscono un figlio, o un genitore, o un coniuge, affetti da mali incurabili, e giorno dopo giorno condividono la sofferenza e il dolore, fino all'ultimo istante di vita, di quella vita di cui sanno di non poter disporre a loro piacimento. Sono personaggi oscuri, che non avranno mai, come ha avuto Lei, le glorie della cronaca. Non uccidono. Soffrono, condividono, perché la vita, col suo mistero, a un certo punto ha chiesto loro questo immenso sacrificio.

Signor Englaro, pensi a quello che sta per fare. Dei magistrati ai quali ben poco interessa sia di Lei, sia di Sua figlia (tant'è che hanno trattato la vicenda solo sotto il profilo formale) con decisione pilatesca Le hanno messo in mano una pistola.

Ma non Le hanno dato l'obbligo di sparare.

In nome di Dio, se questo ha per Lei un senso, o in nome almeno di quell'amore che non può non avere per Sua figlia, in nome di quell'amore che adesso è accecato da chissà quali turbamenti della Sua mente e del Suo cuore, getti via quella pistola.

Io la supplico, come padre, come cristiano. Non diventi un assassino. Lei è stato stordito da una pubblicità insana, alimentata da tanti che su di Lei, sul Suo dramma, hanno costruito i loro castelli ideologici. Non diventi un assassino. Lasci Sua figlia da quelle buone suore che da anni ne hanno cura. Perché non vuole farlo?
Chi fin qui ha usato del Suo dramma è abbastanza cinico da lasciarla solo quando Lei avrà fatto lo sciagurato gesto che mi auguro non faccia. Andrà a cercare un altro caso – ce ne sono purtroppo tanti – andrà ad alimentare altro dolore e confusione. L'ideologia di morte è insaziabile.

Signor Englaro, poche settimane fa sembrava che Sua figlia dovesse morire per una grave emorragia. E Lei si era comportato come qualsiasi padre, angosciato di fronte al rischio per la vita di un figlio. Perché?

E ora vorrebbe uccidere quella stessa figlia la cui possibile morte la turbava poche settimane fa? Ma capisce che tutto ciò è pazzesco? O meglio, tutto ciò dimostra che nel Suo cuore c'è ancora qualcosa. Dia ascolto a quella voce in fondo al Suo cuore, quella stessa voce che le ha portato l'angoscia. La voce della coscienza, la voce di un padre che ama la figlia.

Le è chiesto di soffrire, di condividere la sofferenza con Sua figlia, giorno per giorno, amandola come solo un genitore può amare. L'alternativa è ucciderla.

E se lo farà, avrà Lei il coraggio di star seduto vicino a sua figlia, di seguire i lunghi giorni di una terribile agonia? E se Lei davvero avrà la spaventosa freddezza di dare la morte a Sua figlia, chi mai potrà liberarla dal rimorso? Non sarà “finito” l'inferno, signor Englaro. Inizierà un istante dopo la morte, dopo atroce agonia, di Sua figlia.

Io La supplico, non divenga un assassino. Lasci Sua figlia dalle suore, accetti che nella vita possono accadere fatti che non possiamo capire, né tanto meno dominare. Si liberi finalmente da quella corazza di freddezza che altri Le hanno imposto.

C'è un Amore più grande, che ci supera e ci consola. Lei probabilmente non l'ha incontrato. E' l'amore di Cristo. Ma Lei, come tanti altri che pur non hanno incontrato Cristo, ha avuto il dono di un figlio, la possibilità quindi di esprimere tutto il bisogno di amore che c'è nel cuore di ogni uomo sano.

Lei è vecchio, ormai. Deve vincere ancora la Sua battaglia. Deve vincere quei fantasmi oscuri che si agitano dentro di Lei, che vorrebbero trasformare le Sue mani, le mani di un genitore, che per il figlio devono avere solo carezze, nelle mani del boia. Non c'è nulla di perduto, Lei è ancora in tempo. Viva la Sua vecchiaia con quella poca gioia che Le sarà concessa, perché senza dubbio Lei è portatore di un grande dolore.

Ma non viva la Sua vecchiaia con un pensiero che ogni giorno si farà più martellante: “Io ho ucciso mia figlia!”

Signor Englaro, la pianti di nascondersi dietro il paravento della “legittimità”! Non deleghi la Sua coscienza alle carte bollate e alle sentenze.

Lei sa perfettamente che sta per ammazzare Sua figlia.

Io so che pregherò molto per Lei. E vorrei inginocchiarmi davanti a Lei, chiederle per pietà di fermarsi. La supplico!

Paolo Deotto

1 commento:

CQ56 ha detto...

Mi sembra semplicemente ed umanamente insensato per salvaguardare la dignità di una figlia darle una morte per sete e fame che non si dà neppure ad un cavallo azzoppato. Se poi, come qualcuno sostiene, Eluana non sentirebbe dolore nella sua procurata agonia, allora vuol dire che non sente dolore neppure se resta nella situazione in cui attualmente si trova, per cui non ci sarebbe motivo di farla morire. Come padre di tre figlie mi associo perciò al fraterno ed accorato appello di Paolo Deotto.
Carlo Cigolini